Ora che le celebrazioni sono finite possiamo dirlo: un comunista anomalo che ha indagato la grammatica della fantasia infantile e ha messo il corpo del bambino al centro di una rivoluzione pedagogica, tra Mario Lodi, Bruno Munari e Dewey.
Il Capitale dice:
Ugo Lanzalone (Ustioni, Manni 2005)
la guerra sia infinita.
E guerra sia: per ora la farò con la poesia
e lo bombarderò coi miei epigrammi
e non è presunzione:
contengono esplosivo per milioni
e milioni di chilogrammi
e se ben fatti possono durare
un infinito numero di anni.
Di Gianni Rodari ormai sappiamo tutto, oppure sappiamo che dovremmo saperne molto e in qualche caso, di più. E allora cercarne i libri e tuffarcisi è la soluzione migliore, ma quali scegliere? E come orientarsi? Proviamo a tracciare un percorso attraverso l’uomo e l’opera, tra militante, pedagogista, intellettuale, maestro, genitore.
Rodari ha cent’anni – uno di più di quanti ne compie il Movimento dell’Educazione nuova – due in più del maestro Mario Lodi, di cui festeggeremo il centenario il prossimo anno; quando Gianni nasce, Bruno Munari ha compiuto 14 anni; sono gente del nord, che vive tra campagne brumose e fiumi imponenti, che bazzica tra forni e mulini, e che al mattino, quando vanno al lavoro, vede i genitori sparire nella nebbia.
Rodari ha sentito la guerra sulla sua pelle, ha vissuto il fascismo da bambino, ma l’ha capito da ragazzo e se ne è distaccato radicalmente, nelle azioni e nello spirito, combattendo e militando tra i partigiani prima e nelle fila del partito comunista poi. Rodari è un uomo appassionato, che incarna un ideale di giustizia sociale, di uguaglianza e libertà, che lo porta a riconoscersi nel mondo contadino, nel movimento operaio e a dargli voce.
Ed è anche un uomo che non esita a mettere faccia e bocca sui temi che non lo convincono e che invita tutti a farlo, dando voce ai dubbi e agli ideali con le armi della invenzione e della fantasia, certo, ma anche con quelle dello studio appassionato ai temi sociali e pedagogici e della denuncia degli errori commessi, come quando, all’indomani dell’invasione sovietica con i carrarmati su Praga, scrive sul Paese Sera : “non abbiamo mai creduto, e non possiamo cominciare a credere adesso, che i carri armati siano lo strumento più adatto a risolvere le controversie ideologiche circa le vie di sviluppo del socialismo.” [1]
Realtà e fantasia, due polarità che animano la penna di Rodari, che muove i suoi racconti e storie non dalla voglia di evadere la realtà, ma al contrario di analizzarla e imparare a risignificarla, con l’obiettivo di contribuire a modificarla. Le sue storie, favole, novelle, partono da scenari quotidiani in cui si confrontano pochezze e ricchezze, pavidità e coraggio, capacità di esporsi e paura di perdere il posseduto, e Rodari rispetto a questi fronti contrapposti cerca strade innovative per raccordare, con i suoi immaginifici fili di parole, la storia personale alla riflessione collettiva.
Dalla quotidianità delle sue giornate bambine viene l’immagina con cui Rodari apre il suo libro più strutturato, quella “Grammatica della Fantasia” in cui raccoglie e sistematizza i metodi, le piste, i “trucchi” che ha usato negli anni per creare storie e invitare i ragazzi a farlo.
“Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con effetti diversi, la ninfea e la canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore… Quando poi tocca il fondo, sommuove la fanghiglia, urta gli oggetti che vi giacevano dimenticati, alcuni dei quali ora vengono dissepolti, altri ricoperti a turno dalla sabbia. Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazione a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio e che è complicato dal fatto che la stessa mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene continuamente, per accettare respingere, collegare e censurare, costruire e distruggere.“ [2]
E su come le parole arrivino ai bambini, come essi possano scoprirle e utilizzarle, quanto siano legate a un significato già dato o appartengano a uno strumentario di scoperta e interpretazione, fa eco a Rodari la riflessione appassionata di un altro educatore che, come lui, si interroga sulle metodologie scolastiche e milita nel Movimento di Cooperazione Educativa, che portava in Italia il pensiero di Celestine Freinet e le sue tecniche di apprendimento tramite il confronto con la realtà e con il gruppo classe: Mario Lodi. Lo scontro tra apprendimento cooperativo e indottrinamento centralizzato è un tema cruciale di quegli anni, che Lodi esplicita con forza in questa riflessione sull’uso del libro di testo contrapposto all’osservazione della realtà come fonte ispiratrice.
“La scuola è incominciata e i bambini delle elementari riceveranno presto il libro gratuito dello Stato sul quale sono scritte le cose che dovranno sapere. Seppellito il corpo in un banco e quindi interrotto il processo naturale di crescita del bambino, incomincia così l’operazione di riempimento della testa per neutralizzarla come organo pensante”.[3]
Il corpo del bambino è la prima vittima di una scuola che, per meglio inquadrarlo, non si perita di smembrare l’integrità del bambino nella dualità corpo-mente. E nella descrizione di una possibile alternativa Lodi mette senza timore i bambini delle elementari a confronto con la realtà, fin nelle sue più crude manifestazioni, e costruisce il suo esempio a partire da un fatto drammatico dell’attualità: il Golpe cileno. E anche lui, per richiamare l’immagine della progressività della ricerca, ritorna all’esperienza mille volte osservata nelle lunghe esplorazioni della vita di campagna, di nuovo, il sasso nello stagno.
“Facciamo un esempio. I giornali e la televisione recano la notizia della morte del presidente cileno Allende che con il consenso popolare aveva scelto la via democratica al socialismo. Subito, una mente si mette in moto per “capire”, sulla base di tutte le notizie attendibili che pervengono, le cause prossime e remote del “golpe”. Come un sasso che rompe la tranquilla superficie dello stagno e per cerchi concentrici spinge l’onda sempre più lontano, la ricerca intorno al fatto cileno chiarisce dapprima la situazione locale, poi si estende a considerare storicamente il fenomeno del colonialismo, poi … Una ricerca motivata che parta da un avvenimento come questo ha bisogno di notizie e dati che sul libro di testo non si trovano; ed ecco allora che lo studio si vale, come ogni vero studio, non di un solo libro ma di diversi libri e giornali e riviste e testimonianze dirette. Un professore che volessi approfittare di questa occasione drammatica e vissuta, quale “programma” ampio e scelto potrebbe impostare!”[4]
Da uomo di scuola Rodari non ha fatto molto, insegnante alle elementari anche lui, dice di essere stato “un pessimo maestro, mal preparato al suo lavoro e con in mente di tutto, dalla linguistica indo-europea al marxismo”, con “in mente di tutto, fuor che la scuola”, ma aggiunge che probabilmente non era stato “un maestro noioso. Raccontavo ai bambini, un po’ per simpatia un po’ per voglia di giocare, storie senza il minimo riferimento alla realtà e al buonsenso”, storie che inventava utilizzando le tecniche scoperte con l’incontro dei surrealisti francesi.
Ma la vena artistica surreale va a braccetto con l’impegno sociale e, anzi, ha come bersaglio proprio quell’imbonimento conservatore che la società mantiene, anche nel dopoguerra, con l’instaurarsi della guerra fredda e il doppio blocco ideologico che crea una richiesta ferrea di fedeltà che Rodari, con leggerezza, ma tenacemente, mette in discussione.
““Creatività” è sinonimo di “pensiero divergente” cioè capace di rompere continuamente gli schemi dell’esperienza. È “creativa” una mente sempre al lavoro, sempre a fare domande, a scoprire problemi dove gli altri trovano risposte soddisfacenti, a suo agio nelle situazioni fluide nelle quali gli altri fiutano solo pericoli, capace di giudizi autonomi e indipendenti (anche dal padre, dal professore e dalla società) che rifiuta il codificato, che rimanipola oggetti e concetti senza lasciarsi inibire dai conformismi.” [5]
Rodari, abbiamo detto, milita nel Partito, ma non sposa il sentire canonizzato dell’impianto marxista che vede i bambini come socialmente determinati e ne rimanda la liberazione a rivoluzione fatta; lo spirito personale e l’incontro con il Movimento di Cooperazione Educativa, che agisce per realizzare nel qui ed ora della scuola, classista e cattolicissima com’è, metodi educativi emancipanti e cooperativi, lo porta ad acquistare con più consapevolezza un punto di vista differente. Rodari si rende conto che il soggetto dell’educazione non è il maestro che insegna, ma il bambino che apprende.
“E il maestro? Il maestro – rispondono quelli del Movimento di Cooperazione Educativa – si trasforma in un “animatore” in un promotore di creatività. Non è più colui che trasmette un sapere bell’e confezionato, un boccone al giorno; un domatore di puledri; un ammaestratore di foche. E’ un adulto che sta con i ragazzi per esprimere il meglio di se stesso, per sviluppare anche in se stesso gli abiti della creazione, dell’immaginazione, dell’impegno costruttivo in una serie di attività che vanno ormai considerate alla pari: quelle della produzione pittorica, plastica, drammatica, musicale, affettiva, morale, (valori, norme di convivenza), conoscitiva (scientifica, linguistica, sociologica) tecnico-costruttiva, ludica, “nessuna delle quali sia intesa come trattenimento o svago al confronto di altre ritenute più dignitose”. Nessuna gerarchia di materie. E, al fondo, una materia unica: la realtà, affrontata da tutti i punti di vista, a cominciare dalla realtà prima, la comunità scolastica, lo stare insieme, il modo di stare e di lavorare insieme. In una scuola del genere il ragazzo non sta più come un “consumatore” di cultura di valori, ma come un creatore e produttore, di valori e di cultura.” [6]
In questo quadro nuovo, torna in primo piano quel partire dalla realtà che è la chiave di volta per mettere il bambino, pur con la sua poca esperienza e cultura, in grado di agire a partire da sé stesso, con la serietà di cui è capace nella spinta naturale all’evoluzione, perché, come dice Lodi, “Sulla via del processo evolutivo il bambino non ha paura dei cambiamenti, rifiuta le regole che limitano il suo progredire, non si arrende mai di fronte nessun problema, a nessun rischio.” [7]
I Cemea, Centri di Esercitazione ai Metodi dell’educazione attiva, sono un altro movimento educativo che arriva negli anni 50 in Italia, sempre dalla Francia che con la sua laicità ha potuto riflettere in maniera meno conformista all’innovazione dei metodi educativi, e si innesta sulla scoperta della pedagogia attiva di Dewey, portato in Italia da Ernesto Codignola e Lamberto Borghi, che poi presiederà la Federazione Italiana dei Cemea, che si struttura intorno alla formazione dei monitori di colonie estive, ma presto estende la sua azione agli internati e alle case per ragazzi, agli ospedali psichiatrici, agli adolescenti e alla scuola. Uno dei principi su cui fondano la propria azione educativa esplicita che: “La nostra azione è condotta in contatto diretto e costante con la realtà” a cui aggiunge: “L’ambiente ha una importanza fondamentale nello sviluppo dell’individuo”.
L’educazione, secondo i Cemea è lo sforzo consapevole di costruire intorno al bambino, alla collettività di bambini e adulti, le condizioni per una reale espressione di sé, che sia emancipatrice e creativa. Rodari, citando Marta Fattori, ci dice che “tutti possono essere creativi, a patto di non vivere in società repressiva, in una famiglia repressiva, in una scuola repressiva… è possibile un’educazione alla creatività.”[8]
Ma questo allora sostiene che l’educazione, e non solo la scuola, ma l’intera società, deve dare spazio alla creatività costruttiva del bambino, metterlo nelle condizioni di “realtà” che gli permettono di agire, strutturare gli ambienti che permettano il suo sviluppo. Tornando alle parole di Lodi scopriamo invece che la realtà di quell’impostazione educativa era altra e lontana da questi ideali: “La cultura personale del bambino, risultato della sua esperienza, viene rifiutata. Da lui non si parte e a lui non si torna.“[9]
E invece Rodari è proprio al bambino che si rivolge, creando con i suoi libri di favole, storie e filastrocche un contesto ideale per lanciare un unico messaggio: la realtà è quella che vedete voi, quella delle connessioni che fa ciascuno e che ciascuno può, senza timore, dire. Le stramberie, i nonsense, i mondi alla rovescia che Rodari descrive sono sempre tese a rimettere in discussione non l’esperienza di vita che ciascuno (adulto o bambino) sperimenta e testimonia, ma il racconto omologato della stessa, che la società, storicamente e economicamente determinata, sovrappone con il suo “pensiero unico” alla ricchezza delle elaborazioni locali e personali.
Ed è in questo percorso che Gianni incontra Bruno. Munari, un altro grande ricercatore di queste tematiche, impegnato a liberare l’educazione estetica da altri canoni fissi, quelli dell’arte inarrivabile, frutto del genio e inaccessibile ai più. Il loro sarà un sodalizio creativo importante che darà frutti sia nelle produzioni (Munari illustra numerosi libri di Rodari) che nella riflessione sulla qualità delle edizioni, anche queste pensate con un forte impegno trasformativo.
“Progettare libri per bambini è una grande responsabilità, la società del prossimo futuro è composta da adulti che oggi sono bambini; quello che resterà impresso nella loro mente oggi, formerà il loro carattere domani. Un buon libro per bambini può preparare un individuo a tutto ciò che conduce a un buon comportamento sociale, non nel senso dell’obbedienza cieca e assoluta dei superiori e al timore delle autorità anche se fasulle; bensì al rispetto della propria personalità e a quella degli altri, al lavoro di gruppo per risolvere problemi comuni, allo sviluppo del proprio pensiero, alla possibilità di prendere delle decisioni, alla educazione estetica.”[10]
E Munari, con il suo impegno di divulgatore nel campo dell’espressione e del design, scriverà, nel 1977, Fantasia, un libro con il quale si chiede: “È possibile studiare le costanti della fantasia, dell’invenzione, della creatività? È possibile cercare di capire come “nasce” una idea?… Molti artisti romantici contemporanei che operano nelle avanguardie, dicono che il popolo deve restare fuori da questi problemi, che l’arte è un mistero inspiegabile, che non si deve spiegare mai niente altrimenti l’arte crolla. Io penso invece che la gente voglia capire e quindi mi accingo a cercare di spiegare, sperando che altri, più competenti di me, continuino questo modesto inizio di conoscenza di fenomeni che interessano a tutti, per un maggiore sviluppo della creatività e quindi della personalità.“ [11]
E così arriviamo alla dichiarazione di Rodari su come abbia inteso la sua Grammatica della fantasia (Einaudi, 2010), che “non è né una teoria dell’immaginazione infantile… né una raccolta di ricette, un Artusi delle storie, ma, ritengo, una proposta da mettere accanto a tutte le altre che tendono ad arricchire di stimoli l’ambiente (casa o scuola non importa) in cui il bambino cresce. La mente è una sola. La sua creatività va coltivata in tutte le direzioni. Le fiabe (ascoltate inventate) non sono tutto quel che serve al bambino. Il libero uso di tutte le possibilità della lingua non rappresenta che una delle direzioni in cui gli può espandersi”
Rodari si è occupato di questo aspetto, ma ne rivendica l’ottica globale, in cui tutti gli ambiti creativi e immaginativi sono compresi e in cui si risalda la concretezza e l’integrità dell’essere umano non sfruttato: “L’immaginazione del bambino, stimolata a inventare parole, applicherà i suoi strumenti su tutti i tratti dell’esperienza che sfideranno il suo intervento creativo. Le fiabe servono alla matematica come la matematica serve alle fiabe. Servono alla poesia, alla musica, all’utopia, all’impegno politico: insomma, all’uomo intero, e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché, in apparenza, non servono a niente: come la poesia e la musica, come il teatro e lo sport (se non diventano un affare). Servono all’uomo completo. Se una società basata sul mito della produttività (e sulla realtà del profitto) ha bisogno di uomini a metà – fedeli esecutori, diligenti riproduttori, docili strumenti senza volontà – vuol dire che è fatta male e che bisogna cambiarla. Per cambiarla, occorrono uomini creativi, che sappiano usare la loro immaginazione.” [12]
Rodari quindi usa la freschezza delle invenzioni verbali come palestra per tenere allenata e desta una complessiva elasticità, che apra le porte alla meraviglia e all’invenzione nel bambino e perduri come capacità di visione e di discernimento nell’adulto. Il suo impegno leggero non deve ingannarci, la questione è della massima importanza e ci ricorda le parole che Calvino, membro del gruppo dell’Oulipo (Officina di letteratura potenziale fondata da Queneau) fa pronunciare, in uno dei suoi libri più fantasmagorici, a Marco Polo: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” [13]
Ed è con questa terribile consapevolezza che Rodari rifonda l’obiettivo non solo della scuola, ma di chi la incarna con il suo mestiere di maestro, che non può essere vissuto dall’esterno, come un compito di cui ci si spoglia finito il turno, ma accolto come dimensione profonda, in quanto, per realizzare l’ideale emancipatore della scuola, l’insegnante vi deve entrare con tutto sé stesso, per incontrare un bambino di cui vuole contribuire a mantenere e rafforzare l’integrità.
“… E si capisce che, a questo punto, infiniti problemi cascano addosso a questi insegnanti… Ma tra una scuola morta e una scuola viva la discriminazione più autentica è proprio questa: la scuola per “consumatori” è morta, e fingere che sia viva non ne allontana la putrefazione (che è sotto gli occhi di tutti); una scuola viva e nuova può essere solo una scuola per “creatori”. È come dire che non vi si può stare da “scolari” o da “insegnanti”, ma da uomini interi. La tendenza verso uno sviluppo onnilaterale dell’individuo – direbbe Marx (Miseria della filosofia) – comincia a farsi sentire…” [14]
Per chiudere, non posso tacervi che non ho mai amato Rodari, almeno finché non l’ho incontrato personalmente, leggendolo. Prima ne avevo un pregiudizio che me l’ha tenuto distante. Ma è proprio quando le persone le tieni a distanza che puoi guardarle meglio e, se non ti convincono, studiarle meglio, e così a un certo punto scopri che le conosci più di quelle che consideri amiche, e magari cambi idea.
di Claudio Tosi – Educatore e artigiano
Questo articolo è già stato pubblicato sulla Rivista on line Pulplibri il 2 Marzo 2021 (https://www.pulplibri.it/)
[1] Lezioni di Fantastica, Vanessa Roghi – Laterza 2020
[2] Grammatica della Fantasia, Gianni Rodari – Einaudi 1973
[3] Cominciare dal Bambino, pag. 90 Mario Lodi – Einaudi 1977
[4] Ibid.
[5] Grammatica della Fantasia – Immaginazione, creatività, scuola, Gianni Rodari – Einaudi 1973
[6] Grammatica della Fantasia – Immaginazione, creatività, scuola, Gianni. Rodari – Einaudi 1973
[7] Cominciare dal Bambino, pag. 157 Mario Lodi – Einaudi 1977
[8] Creatività e educazione – Marta Fattori – Laterza, 1968
[9] Cominciare dal Bambino – Mario Lodi – Einaudi 1977
[10] Arte come mestiere, Bruno Munari – Laterza 1966
[11] Fantasia, Bruno Munari – Laterza 1977
[12] Grammatica della Fantasia – Immaginazione, creatività, scuola, scuola, Gianni Rodari – Einaudi 1973
[13] Le città invisibili, Italo Calvino – Einaudi 1972
[14] Grammatica della Fantasia, Gianni Rodari – Einaudi 1973