Alla fine degli anni Settanta Cecrope Barilli, istruttore e presidente del Cemea del Mezzogiorno, era un esponente di grandissimo rilievo nel mondo Cemea sia a livello nazionale che internazionale. Come associazione locale era impegnato su più fronti: nella gestione e organizzazione delle colonie di vacanza e dei centri estivi e nella formazione degli educatori del tempo libero per conto di Enti Pubblici e privati.
A partire dal 1977, su committenza del Comune di Roma, il Cemea del Mezzogiorno si occupò della gestione del C.R.E. (centro ricreativo estivo) “Casa dei Bimbi” presso la Scuola Badini. Riportiamo alcuni brani tratti dalle relazioni del 1977 e del 1980 (presentata, quest’ultima, al Convegno Nazionale che si tenne a Pescara dal titolo “Colonie di Vacanza”). Barilli vi affronta l’aspetto della formazione degli animatori, l’organizzazione del gruppo-bambini, la programmazione delle attività.
In apertura della relazione del 1977 Barilli chiarisce cosa intende con il termine “animazione”.
TERMINOLOGIA
Assistenti, insegnanti, animatori, corpo docente, operatori. La varietà dei termini correntemente impiegati denuncia l’esistenza di confusione sui ruoli e quindi sulle idee. Per noi vale un termine solo: animatore, colui che si occupa come educatore, di tutti gli aspetti della vita dei ragazzi, in ogni momento.
Animazione – conseguentemente, l’animazione non si rinchiude nell’attività, ma considera questa come un momento della vita dei ragazzi, senza attribuirle un valore privilegiato. L’attività nasce e cresce in un contesto più generale in cui animatori e ragazzi interagiscono. Pensare che l’animatore debba essere escluso da quel contesto, affidato invece, perché ritenuto insignificante o meno nobile, a personale considerato di second’ordine, significa impoverire il senso e la qualità del suo lavoro, riducendolo a pura abilità tecnica.
Questo discorso vale per la colonia di vacanza, per il CRE. Sfortunatamente non per la Scuola, che è luogo di sole attività per giunta scandite dalla campana.
Cecrope Barilli esaminando il documento predisposto dall’Ente Locale per l’organizzazione dei centri estivi entra nel merito dei criteri organizzativi e di metodo del programma, evidenziando come il problema sia in realtà la formazione del personale.
Il programma precostituito o è un feticcio, una trama illusoria intesa a dare senso ad una situazione di per sé sbrindellata e si dissolverà nelle mille contraddizioni e impotenze, o riesce per davvero. (Gli estensori del documento si premurano di dire che si tratterà di un programma indicativo, che bisognerà tener conto di quanto verrà suggerito dai ragazzi. E qui, come si suol dire, cascherà l’asino. In definitiva il documento propone un elenco di attività, ma senza preoccuparsi della necessità di dotare il personale delle capacità di utilizzarle).
Se riesce per davvero, si diceva. In tal caso non può che trattarsi che degli animatori tra virgolette […], un gruppo di specialisti, che conosce bene i suoi mezzi e prende in pugno la situazione. Ci si potrà chiedere: ma, e i ragazzi? Si sa che, se gli animatori sono bravi, marceranno. Ma ci si chiederà ancora, siamo ben certi che ad essi occorrevano proprio quelle cose e fatte in quel modo?
La programmazione così intesa tende all’unanimità, alla “partecipazione” di tutti, all’organizzazione del consenso. Istituisce il conformismo (anche quello un po’ becero del non conformismo di maniera), i buoni e i cattivi. Istituisce l’entusiasmo permanente. Il discorso è importante e andrebbe sviluppato. Speriamo di poterlo fare, cade qui di proposito a denunciare l’insistenza di un impegno riguardo alla formazione. Detto in modo sbrigativo, non di programma si dovrebbe trattare, ma di programmare gli operatori. È insopportabile l’idea che persone addette alle attività con i ragazzi restino al di qua di una formazione che dia loro il piacere del lavoro e la dignità professionale, per venire poi mortificata di fronte agli “animatori” in un ruolo di manovalanza. Per noi non ci hanno da essere educatori di prima e di seconda categoria. Si tratta invece di formare al suo mestiere chiunque svolga funzioni di educatore.
[…] Il tempo a disposizione è limitato, non va sprecato in imprese spettacolari, brillanti e massificanti. Si tratta piuttosto di rendersi conto dello stato reale di ciascun ragazzo, di favorire le relazioni interpersonali (fra i ragazzi, fra ragazzi e animatori, fra gli animatori) e quindi diversi aspetti della vita quotidiana. In funzione di ciò occorre interpretare l’ambiente fisico, strutturare il gruppo dei monitori e dei ragazzi, orientare il modo di lavorare, dare il giusto spazio alla riflessione e alla comunicazione. (L’esigenza di un tempo di formazione si rivela essenziale non soltanto per l’acquisizione di capacità operative, ma anche per consentire al gruppo degli animatori di sbarazzarsi per tempo della confusione delle idee e dei linguaggi, sicché, per l’esperienza vissuta in comune, sia loro possibile disporre di un linguaggio condiviso). […]
Anche la “militanza educativa” è considerata un momento di crescita personale
Il gruppo dei monitori […] e il coordinatore, pur essendo assunti per 5 ore di lavoro, si è impegnato a prestare servizio per l’orario pieno del Centro e a trattenersi, dopo la chiusura, il tempo necessario alla messa a punto. Questo impegno non è motivato da ragioni religiose o politiche in senso stretto, è semplicemente la conseguenza di una formazione, raggiunta attraverso lo stage, che porta ad un impegno di militanza educativa, per la quale si supplisce – entro certi limiti – agli errori di impianto amministrativo, alle deficienze, al fine di raggiungere condizioni che consentano il gusto del lavoro, l’appropriazione piena del ruolo, la soddisfazione del lavoro ben fatto. Un tal modo di porsi non ha nulla di eccezionale, anche se si distingue nettamente dai modi impiegatizi largamente diffusi. Indubbiamente, alla base, si pongono convinzioni di natura politico-sociale, fatte proprie da una larga parte della gioventù, che si incontrano felicemente con il bisogno di responsabilità, di creatività, di impresa collettiva. Insieme alla scoperta del mondo infantile, il giovane si confronta con problemi reali, si mette alla prova, si misura e prende coscienza del proprio stato. […]
A proposito della formazione dei gruppi di bambini che sono stati suddivisi in “grandi gruppi” di età omogenea spiega:
Perché questa struttura? – Ecco la risposta, in breve: I°, la dimensione del “grande gruppo” è adatta alle possibilità di relazione dei ragazzi, alla loro capacità di situarsi verso i loro pari; 2°, ogni ragazzo potrà identificarsi con questo gruppo che dà sicurezza e dove ciascuno è riconosciuto nella propria singolarità; 3° , consente al gruppo di parlare di se stesso, della sua vita, dei suoi progetti; 4°, il “grande gruppo” facilita l’adattamento di ciascun ragazzo alle nuove relazioni della vita collettiva permettendogli di situarsi nello spazio; 5°, gestione di uno spazio e di beni determinati, ma anche del suo tempo: il tempo (al C.R.E e ancor più alla colonia di vacanza) è ricondotto alla nozione del tempo reale. Il tempo è “libero”, nel senso che se ne dispone liberamente, senza l’obbligo di raggiungere risultati prestabiliti. In senso largo è il tempo della vita quotidiana. Il suo tempo è tutto il tempo; 6°, la gestione del tempo sulla base delle libertà di scelta e di impegno costituisce l’autenticità e la ricchezza delle relazioni all’interno del “grande gruppo” e così anche con il mondo circostante; 7°, la parola e l’azione riconquistano allora il loro senso vero e pieno di implicazioni per una trasformazione creativa del reale; 8°, il “grande gruppo” non è monolitico. Al contrario, consente, al suo interno, scelte individuali o di piccoli gruppi, la collaborazione come la solitudine; 9°, consente e richiede un vero lavoro d’équipe da parte dei monitori; 10°, i concetti di esperienza e di sperimentazione, fondamentali nella pedagogia moderna, sono qui applicati anche alle relazioni con gli altri, così come comunemente si fa riguardo alle relazioni con il mondo, con le materie, con le tecniche.
[…]
Conclude la relazione sul centro estivo tornando sui concetti di “programma” e di “animazione”
Da quanto si è finora detto sarà facile capire cosa intendiamo per “programma”. Evidentemente i programmi, i progetti trovano origine nel vivere sociale, in aderenza alla evoluzione del gruppo, alla sua storia, ai ritmi che gli sono propri. Programmati, in un certo senso, sono gli operatori che senza essere specialisti si valgono di una formazione di base polivalente e dell’aiuto costante dei compagni dell’équipe.
Programmati sono certi utensili e certi materiali, la cui utilizzazione è prevedibile, per quando sarà il loro momento.
Non si tratta quindi di spontaneismo. Tutto invece è stato pensato e predisposto per garantire, in potenza, una risposta adeguata ai bisogni che si manifesteranno nella concretezza delle situazioni, ancora sconosciute nella loro specificità: l’ambiente, che è stato interpretato, ripulito, arredato, la struttura (i “grandi gruppi”), l’organizzazione, la formazione.
Ci sembra che tutto questo nostro sforzo sia indirizzato alla ricerca di un agire sensato e, messi alla prova, le conferme sono confortanti. Non ci rallegra constatare che il nostro approccio si pone a 180° riguardo a quanto normalmente si fa, sotto il nome di “animazione”.